25 Aprile. Festa della Liberazione.

Carissimi,

siamo ormai prossimi al “25 aprile”, Anniversario della Liberazione d’Italia.

Quest’anno purtroppo, a causa del Coronavirus, non saremo a testimoniare il ricordo con la nostra presenza, nelle piazze, di fronte ai Cippi, nei luoghi che ricordano gli eccidi, fatti di sangue o il sacrificio dei molti giovani e meno giovani morti nel nome della libertà.

Seppure saremo a casa, ricordiamoli Sabato 25 Aprile con qualche minuto di raccoglimento e per chi può con l’esposizione della Bandiera Italiana.

Consentitimi un breve ricordo dei vari momenti che hanno portato all’istituzione di questa nostra Festa Nazionale.

Il 25 aprile 1945 a Milano, città guida della Resistenza, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) proclamò lo sciopero generale.

Quel giorno, con voce ferma, Pertini, componente il CLNAI, annunciò da Radio “Milano Libera”:

“Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire”.

Le fabbriche vennero occupate e presidiate e la tipografia del Corriere della Sera venne usata per stampare i primi fogli che annunciavano la vittoria.

Dall’altra parte dell’oceano, sulla costa occidentale degli Stati Uniti, a San Francisco, quello stesso 25 aprile avvenne l’incontro tra i rappresentanti di 50 nazioni.

Ad aprire l’evento internazionale fu il presidente americano Truman, in carica da appena 13 giorni.

Il suo discorso iniziò così:

“Il problema che dobbiamo affrontare qui consiste sostanzialmente nell’istituire un’organizzazione efficiente, per la soluzione delle contese tra le nazioni. Non possiamo più permettere che alcuna nazione o gruppo di nazioni cerchi di affermare le sue pretese con le bombe o con le baionette”. Sta parlando delle Nazioni Unite, che stanno per nascere.

Entro il 1º maggio tutta l’Italia settentrionale fu liberata: Bologna (il 21 aprile), Genova (il 23 aprile) e Venezia (il 28 aprile).

Il termine effettivo della guerra sul territorio italiano, con la resa definitiva delle forze nazifasciste all’esercito alleato, si ebbe solo il 3 maggio, come stabilito formalmente dai rappresentanti delle forze in campo durante la cosiddetta resa di Caserta firmata il 29 aprile 1945: tali date segnano anche la fine del ventennio fascista.

Gli americani arrivano nella città di Milano il 1° maggio 1945.

La Liberazione mise così fine a vent’anni di dittatura e a cinque anni di guerra.

La data del 25 aprile simbolicamente segnò il recupero dell’unità nazionale e l’avvio del nuovo percorso democratico per il nostro paese rappresentando il culmine della fase militare della Resistenza e l’avvio effettivo di una fase di governo da parte dei suoi rappresentanti che porterà prima al referendum del 2 giugno 1946 per la scelta fra Monarchia e Repubblica, e poi alla nascita della Repubblica Italiana, fino alla stesura definitiva della Costituzione.

Il 22 aprile  1946, su proposta del presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, il re Umberto II, allora principe e  luogotenente  del  Regno d’Italia, emanò un decreto legislativo luogotenenziale (“Disposizioni in materia di ricorrenze festive”) che recitava:

« A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale.»

La ricorrenza venne celebrata anche negli anni successivi, ma solo il 27 maggio 1949, con la legge 260 (“Disposizioni in materia di ricorrenze festive“), essa è stata istituzionalizzata stabilmente quale festa nazionale:

« Sono considerati giorni festivi, agli effetti della osservanza del completo orario festivo e del divieto di compiere determinati atti giuridici, oltre al giorno della festa nazionale, i giorni seguenti: […] il 25 aprile, anniversario della liberazione;[…]»

Da allora, annualmente in tutte le città italiane – specialmente in quelle decorate al valor militare per la guerra di liberazione – vengono organizzate manifestazioni pubbliche in memoria dell’evento.

 

Tra gli eventi del programma della festa c’è il solenne omaggio, da parte del Presidente della Repubblica Italiana e delle massime cariche dello Stato, al sacello del Milite Ignoto con la deposizione di una corona d’alloro in ricordo ai caduti e ai dispersi italiani nelle guerre.

Quando si ricorda la Resistenza, si parla di secondo Risorgimento.

Ma tra il primo ed il secondo Risorgimento, protagoniste sono state delle minoranze della piccola e media borghesia, che parteciparono alle ardite imprese di Garibaldi e di Pisacane.

Nel secondo Risorgimento protagonista è la popolazione. La guerra di liberazione ha visto la partecipazione in massa di operai e contadini.

Nelle fabbriche, anche durante l’occupazione nazista, ci furono scioperi non per rivendicazioni salariali, ma per combattere la dittatura e lo straniero.

Centinaia di questi scioperanti saranno poi, inviati nei campi di sterminio in Germania, ove molti di essi troveranno una morte atroce.

Saranno i contadini e le popolazioni del Piemonte, di Romagna del Veneto e dell’Emilia a battersi e ad assistere le formazioni partigiane.

Riporto alcune parti dell’intervento del Presidente Sergio Mattarella in occasione della Cerimonia del 70esimo Anniversario della Liberazione:

“… La Resistenza in armi e la lotta partigiana non furono quindi espressioni di avanguardie separate. I legami di solidarietà con le famiglie che pagavano il prezzo della guerra e del disfacimento dello Stato, che nascondevano il militare alleato o il giovane renitente alla leva di Salò, si sono fatti tra il ’43 e il ’45 via via più intensi, tessendo una trama di umanità che ha composto l’humus della ribellione morale.

Tanti eroi hanno donato la vita per la nostra libertà, dai “piccoli maestri” che hanno lasciato gli studi per salire in montagna, alle donne che hanno affrontato a testa alta il rischio più alto e la prigionia. A questi dobbiamo affiancare gli eroi quotidiani che salvarono vite, che diedero rifugio ad ebrei, che si prestarono a compiti di cura o di supporto.

Come le sorelle Lidia, Liliana e Teresa Martini, padovane, che guidarono la fuga dai campi di concentramento di decine e decine di prigionieri alleati, prima dando loro il pane e un nascondiglio, poi instradandoli nottetempo verso la Svizzera, attraverso la rete costruita da padre Placido Cortese e da due latinisti di grande fama, Ezio Franceschini, dell’Università Cattolica, e Concetto Marchesi, in seguito rettore dell’Ateneo di Padova. Senza questa dimensione popolare, senza questa fraterna collaborazione tra persone di idee politiche diverse, l’Italia avrebbe fatto molta più fatica a recuperare la dignità smarrita.

E pienamente dentro la dimensione popolare, dentro il moto della Resistenza, sono iscritti i militari che dopo l’8 settembre rifiutarono di combattere o di lavorare per l’esercito tedesco, le centinaia di migliaia di soldati, seicento mila, che vennero rinchiusi nei campi di concentramento, gli ufficiali che affrontarono la morte nelle isole greche o nei Balcani per restare fedeli alla Patria, le nuove Forze armate, che si raccolsero nel Corpo italiano di liberazione ed ebbero a Mignano Montelungo il loro battesimo di sangue. Al fiume della Liberazione nazionale, insomma, portarono acqua molti affluenti. Al Sud come al Nord. Tra i militari oltre che tra i civili. Nei paesi, nelle città, nelle famiglie, oltre che nei gruppi organizzati in montagna. Ricordo, tra i tanti, Enzo Sereni, della Brigata Ebraica che paracadutatosi in Toscana, fu catturato dai nazisti e ucciso a Dachau”.

Se la guerra di liberazione ha conquistato e ci ha donato la libertà e con la libertà la democrazia, la democrazia, al pari della libertà, non è mai conquistata una volta per tutte. E’ un patrimonio che ci è stato consegnato e che nel volgere di mutamenti dell’epoca, dobbiamo essere capaci di trasmettere alle generazioni future. Inscindibile con la libertà è la giustizia sociale.

Riporto una parte del discorso che il Presidente Sandro Pertini fece alla Camera dei Deputati il 23 aprile 1970:

“… siamo qui per riaffermare la vitalità attuale e perenne degli ideali che animarono la nostra lotta. Questi ideali sono la libertà e la giustizia sociale, che – a mio avviso – costituirono un binomio inscindibile, l’un termine presuppone l’altro; non può esservi vera libertà senza giustizia sociale e non si avrà mai vera giustizia sociale senza libertà. E sta precisamente al Parlamento adoperarsi senza tregua perché soddisfatta sia la sete di giustizia sociale della classe lavoratrice. La libertà solo così riposerà su una base solida, la sua base naturale, e diverrà una conquista duratura ed essa sarà sentita, in tutto il suo alto valore, e considerata un bene prezioso inalienabile dal popolo lavoratore italiano.”

Parole ancora oggi attuali.

Riporto alcune parti dell’intervento del Presidente Sergio Mattarella in occasione della Cerimonia del 70esimo Anniversario della Liberazione:

“… Tante cose sono cambiate da quegli anni. Eppure, misurarsi con i valori di libertà, di pace, di solidarietà, di giustizia, che animarono la rivolta morale del nostro popolo contro gli orrori della guerra, contro le violenze disumane del nazifascismo, contro l’oppressione di un sistema autoritario, non è esercizio da affidare saltuariamente alla memoria.

 Stiamo parlando del fondamento etico della nostra Nazione, che deve restare un riferimento costante sia dell’azione dei pubblici poteri sia del necessario confronto nella società per affrontare al meglio le novità che la storia ci pone davanti.

Oggi viviamo una festa, soprattutto per i ragazzi e i bambini. Non c’è nulla di retorico nel cercare una sintonia con la felicità e i sentimenti dei nostri padri, o dei nostri nonni, nei giorni in cui conquistavano una libertà costata sangue, sacrifici, paure, eroismi, lutti, laceranti conflitti personali.

E’ la festa della libertà di tutti.

 

Una festa di speranza ancor più per i giovani: battersi per un mondo migliore è possibile e giusto, non è vero che siamo imprigionati in un presente irriformabile. La democrazia è proprio questo: l’opportunità di essere protagonisti, insieme agli altri, del nostro domani.

 Per costruire solidamente, le radici devono essere ben piantate in quei principi:

  • di rispetto verso le libertà altrui;
  • di rifiuto della sopraffazione e della violenza;
  • di uguaglianza tra le persone,che proprio le donne e gli uomini della Resistenza e della Liberazione indussero a iscrivere nella Costituzione Repubblicana. Molto si è discusso negli scorsi decenni sull’eredità politica della Resistenza, sulle violenze degli anni della guerra e di quelli immediatamente successivi, sui caratteri della nostra identità nazionale.

E’ bene che la ricerca storica continui, che mostri verità trascurate, eventualmente, che offra interpretazioni sempre più ricche e sfidanti. Guai a porre vincoli, anche solo di opportunità, alla libertà di ricerca.

 …… Sono, tuttavia, convinto che, dopo tanto tempo, si sia formata nel Paese una memoria condivisa sulle origini e le fondamenta della Repubblica, che, se non basta a sanare le contraddizioni della nostra travagliata storia unitaria, costituisce un preziosissimo bene comune, il cu

i patrimonio è ora nelle nostre mani.

 Ma è proprio questa interrelazione, tra valori fondanti e memoria condivisa, a farmi dire oggi che non c’è equivalenza possibile tra la parte che allora sosteneva gli occupanti nazisti e la parte invece che ha lottato per la pace, l’indipendenza e la libertà.

Pietà per i morti, rispetto dovuto a quanti hanno combattuto in coerenza con i propri convincimenti: sono sentimenti che, proprio perché nobili, non devono portare a confondere le cause, né a cristallizzare le divisioni di allora tra gli italiani.

Fare memoria in un popolo vuol dire anche crescere insieme. E la nostra storia democratica ci ha aiutato a crescere. Oggi possiamo riconoscere che nella lotta parti giana vi furono, accanto ai tanti eroismi personali e ai tanti straordinari atti di generosità, anche alcuni gravi episodi di violenza e colpevoli reticenze.

Questo non muta affatto il giudizio storico sulle forze che consentirono al Paese di riconquistare la sua indipendenza e la sua dignità”……

Ho ritenuto doveroso ricordare in questi giorni, alcuni passaggi della nostra storia riportando tra l’altro anche le parole delle più alte cariche dello Stato perché meglio racchiudono per tutti noi il profondo significato storico della ricorrenza del 25 Aprile – Festa Nazionale della Liberazione.

A voi tutti un fraterno saluto

                                                                                                                Presidente

                                                                                                                      Pietro Prete